NICOLA VACCA
“Nessuna meta è irraggiungibile, quando ho qualcosa da dire”

 

La poesia è la forma più alta del pensiero. Dove non arriva la ragione, la follia dei versi percepisce i frammenti di verità che  normalmente non siamo abituati a vedere. Fuori cornice, la poesia è una forma di gratitudine che si dona attraverso la parola. Incontrarsi nel suo nome è un dovere morale per chi non si rassegna al tramonto della bellezza. Perché resterà soltanto l'opera dei poeti".

Non passano mai troppi giorni senza che Nicola Vacca non ne abbia una nuova da dirti, o, meglio, da darti.

Nessuna meta è irraggiungibile

quando ho qualcosa da dire”.

da “La grazia di un pensiero” (Pellicani, 2002)

 

 

 

 

Ora ha pubblicato una nuova raccolta di poesie; oppure, è stato scelto fra i finalisti dell’importantissimo premio “Città di San Pellegrino terme”; ora invece i suoi versi sono stati letti nel corso del popolarissimo programma radiofonico “Fabio e Fiamma” di Radiodue; oppure, ti annuncia la prossima uscita della sua nuova raccolta, (“Con prefazione di Sergio Zavoli, meglio dirlo”), o ti ragguaglia delle proprie molteplici attività in ambito editoriale: senza farlo apposta, schivo e modesto di sé stesso com’è in realtà, però ti fa riflettere, insomma, con soddisfazione, su quanto egli sia, giorno dopo giorno, sempre di più addentro, da protagonista, nel panorama culturale italiano, proprio grazie a lui un po’ meno grigio e un po’ meno smorto.

 

Se non si tratta, poi, di faccende letterarie, ci sono quelle varie ed eventuali di cui è sempre prodigo, a dargli motivo di chiamarti al telefono.

Insomma, chi ha la fortuna di conoscerlo, può scoprire quanto stima e affinità possano riempire di bello la vita.

 

 

 

Così a Natale ti manda gli auguri con un sms, sì, come tanti, ma come solo lui può e sa fare, con una sua poesia inedita, scritta di getto per l’occasione:

 

Pace nell’anima.

Soltanto l’amore scaverà nel dizionario dei sensi:

non abbiate paura, fratelli, di cercarvi nel cuore degli altri.

In questa fratellanza si compie il destino della bellezza”

 

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Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle, in provincia di Bari, nel 1963; laureato in giurisprudenza, vive  a Roma.

 

È scrittore, opinionista, critico e agente letterario, ma soprattutto è già una delle voci più importanti della nostra poesia contemporanea.

 

Collabora alle pagine culturali  di quotidiani e riviste: tra  le sue molteplici attività pubblicistiche va ricordata la rubrica settimanale, interamente dedicata alla poesia, sul quotidiano “Secolo d’Italia”, “Nel verso giusto”, che, per la sua inattuale originalità, ha ottenuto l’attenzione dei più importanti quotidiani nazionali, oltre, in generale, della critica letteraria accademica.

 Si occupa professionalmente di ricerche, rapporti istituzionali e pubbliche relazioni; svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale, organizzando presentazioni ed eventi.

 Coltiva con la medesima passione l’attività di critico e agente letterario, e quella di poeta, convinto che nel campo della cultura siano indispensabili una giusta dose di umiltà e di onestà intellettuale.

 

 

Queste due qualità fanno di lui un personaggio bizzarro e unico, fuori da ogni convenzione e consorteria intellettuale, che, per amore della letteratura, ha deciso di rispondere soltanto alla sua coscienza.

 

 

Si definisce, infatti, un anticonformista attento alla qualità dell’opera letteraria e non teme, in modo assoluto, la permalosità snobistica dei cosiddetti poeti laureati. 

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Ha già pubblicato i seguenti libri di poesia:

 

-Nel bene e nel male (Schena, 1994)

 

-Frutto della passione (Manni, 2000)

 

-La grazia di un pensiero (Pellicani, 2002)

 

-Serena musica segreta (Manni, 2003)

 

-Porta il tuo nome l’amore eterno (Edizioni il Pulcinoelefante, 2004)

 

-Civiltà delle anime (Book editore, 2004)

 

-Morte occidentale (Fiori di torchio, 2005)

 

-Incursioni nell’apparenza (Manni, 2006)

 

 

Nella geografia dell’Italia, quando non è in viaggio per una delle sue innumerevoli iniziative culturali, Nicola Vacca, come detto, sta a Roma, dove vive e lavora: e qui, ogni volta che ci capito io, ci incontriamo, puntualmente all’ora di pranzo ( quella del Sud ) e previo appuntamento in centro.

Sempre puntualmente, andiamo a mangiare ( poco ) allo stesso posto, “Il faciolaro”, dietro al Pantheon, dove però parliamo molto, a tal punto che, usciti fuori dopo il caffè e l’ammazza - caffè, gli unici lussi della parca mensa, la conversazione si protrae poi nel pomeriggio e fino a sera, fra i vicoli e le stradine del centro di Roma, che percorriamo per inseguire non tanto i miei e i suoi appuntamenti, quanto i molteplici argomenti che si sovrappongono l’un l’altro, senza soluzione di continuità e senza una conclusione.

 

Quando invece capita lui a Torino, appresso a uno dei suoi tanti interessi, si fa condurre in giro a piedi per la città, curioso e anzi avido turista non per caso, sempre attento a uno dei tanti particolari che è capace di scoprire.

Ma non è forse il vero poeta capace di vedere il porto sepolto?

Di scoprire quel nulla d’inesauribile segreto? 

La limpida meraviglia di un delirante fermento?  

 

 

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Sì, qualcosa rimane, fra le pagine chiare e le pagine scure.

Rimane un libro, per esempio, con una dedica. L’ultimo di Nicola Vacca, poeta compito e profondo, infaticabile animatore culturale, “Incursioni nell’apparenza”, Manni editore; il suo personale messaggio, a metà strada fra sconforto e speranza:

I sillogismi dell’amarezza che passano attraverso le Poesie servono a suonare la sveglia a questo tempo incolore”.

Torino lo ha accolto con una delle sue giornate tipiche: freschetto mattutino e serale, nebbiolina e cappa grigio kriptonite in cui i raggi del sole non riescono a farsi largo.

Una giornata cominciata nella Roma impazzita di traffico dopo l’incidente in metropolitana, in cui era diventato problematico raggiungere Fiumicino, e finita a notte fonda, davanti all’albergo, dopo una cena in cui era stato ubriacato dai discorsi contorti e intricati dei commensali, non dal vino e dall' amaro della casa.

Contro l’indifferenza, il disincanto, l’amoralità del mondo,  Nicola Vacca afferma con vitalismo di ricerca e di testimonianza a tratti addirittura esasperato la propria fiducia nei valori della cultura e nei significati della poesia.

Tesse di giorno, ogni giorno, una tela fitta fatta di affetti, amicizie, relazioni  e la notte no, non la disfa, anzi, di notte, ogni notte, ci ricama su, sognando.

Ma i sogni dei poeti non sono uguali a quelli di tutti gli altri. Hanno più forza e un’intensità tale da potersi proiettare nel concreto dell’esistenza, a darle ordine, forma e vigore. Si fanno pensieri prima e azioni poi, senza soluzione di continuità, infilandosi nei tempi e nei modi dell’esistenza quotidiana.

Eh sì è anche bella, Torino, alla fine, ha il suo fascino nascosto. Da un capo all’altro dell’Italia, in giro, dal centro di Roma, residenza abituale. Contatti, iniziative, scadenze, progetti. Il locale elegante ed austero, ottocentesco, preferito per l’aperitivo. Scelta imposta dagli amici quello per la cena. Motivi e personaggi, fatti e persone, fra dispute ideologiche sul ruolo americano e confronti strategici sul piacere del fumo.

A che punto è la notte, non importa. Al mattino la sveglia suona presto, è meglio andare. A presto, chissà dove e chissà quando, ma sarà presto, presto, per chi si rivede e si separa, come se non fosse mai successo.

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LA SUA POESIA DI VALORI

Nella mia geografia dell’anima, Nicola Vacca sta invece fra Pablo Neruda e Jacques Prevert, fra Giuseppe Ungaretti e Mario Luzi, e, ai nostri giorni, insieme  Roberto Carifi e a Giuseppe Conte: quelli capaci di rendere come lampi abbaglianti nel grigiore dell’esistenza il miracolo multiforme dell’amore.

So bene che la sua ( la loro ) poesia è fatta di altri e alti valori.

 

Ma qui posso spogliarmi delle vesti paludate, nonché ingombranti, del critico e dire quello che più mi piace.

 

 

Non starò pertanto a sottolineare, come è già stato autorevolmente fatto, per esempio che:

 Una sfilza di soluzioni stilistiche tessono l’architettura della sua  poesia fatta di folgoranti intuizioni tradotte in versi, collegati tra loro in maniera a volte, addirittura acrobatica.

L’umana finitezza dissipata tra la devastazione e il saccheggio apre gli occhi al poeta e lo costringe a denunciare il massimo squallore del deserto dove è finita l’anima quando serpeggia nell’attesa di trovare la via del sentimento”.

La poesia, oggetto misterioso d’amore,

 scolpisce statue d’infinito

 nel cerchio aperto della ragione

 

Lascio ad altri l’esaltazione dei suoi versi “inquieti e struggenti, apodittici e quasi ieratici”, soprattutto quando, come in “Morte Occidentale”, affondano come un coltello acuminato nelle piaghe della nostra esistenza contemporanea e finiscono con fare domande terribili:  

 

 

 

Dove sono finiti i pensieri dei cuori appassionati?

Non c’è nient’altro che la triste freddezza

Di tante storie che si assomigliano

Tutto è uguale in un giro di vite

Che si accontenta di un unico pensiero

Che tragicamente non fa la differenza”.

 

Ma non nasce forse la vera poesia proprio dall’inquietudine esistenziale, dal tormento interiore, dalla sofferenza spirituale?

Dirò invece che della poesia di Nicola Vacca a me piace soprattutto la vena intimista e sentimentale, l’afflato lirico che si esercita nell’espressività amorosa.

 

Come in certi passaggi della raccolta “Civiltà delle anime” ( Book editore, 2004 ).

 

Qui Nicola Vacca assicura che:

 

L’amore è la vita: lo stupore che incanta

E’ l’aver amato,  l’aver vissuto 

 

e rende superbamente il concetto in versi intensi, come quelli di “Congiungimenti”:

Passami per la sostanza

Di tutte le cose

Non lasciarmi indifeso

Sul cammino del sogno

Pronuncia con me le certezze

Dell’amore perché il dubbio

Che inventa la vita non smetta

Mai di accompagnarci nel vero

Accattivante di un legame irrinunciabile”.

 

I MOMENTI DELL’AMORE

La poesia di Nicola Vacca, “antidoto quotidiano al veleno letale dell’incomunicabilità tra gli esseri viventi” e “dialogo con l’eternità”, più volte esplora “il vivente Giardino” dell’amore, come quando ne svela la paura che spesso ci assale di perderci fra i suoi sentieri:

Sembra che l’amore

arrechi disturbo alla maschera

che quotidianamente indossiamo.

Abbiamo paura di farci sorprendere

Teneramente vulnerabili

Indifesi, ma veri”.

 

Oppure come quando in maniera encomiabile esalta le ragioni del cuore sulle ragioni della ragione:

 

Uno strano gioco della mente

che noi umani chiamiamo ragione

dell’amore tutto uccide

per un pugno di egoistici timori.

Si appellano all’intelletto

Gli assassini delle passioni.

Al desiderio è preferibile

esibire l’incapacità di coltivarlo.

L’amore è congenito all’anima

perché tutte le cose hanno origine

nella bellezza del cuore”.

 

La precedente raccolta di Nicola Vacca, “Serena musica segreta” ( Manni, 2003 ) è poi da questo punto di vista letteralmente sorprendente. Esattamente questo. Sorprende, infatti, incanta addirittura, la leggerezza, la grazia, la compostezza, con cui il poeta rende il trasporto intenso e maestoso dell’amore vissuto nel suo quotidiano fluire. Una serena musica segreta, appunto, che risuona interiormente, fra giorni e ore, momenti e situazioni.

 

I momenti dell’amore sono colti liricamente, ma nella assoluta quotidianità, da Nicola Vacca, sul filo della memoria, in un chiaroscuro intensissimo di tenebre illuminate e di squarci di luce interiorizzati, di un’esperienza personale trasfigurata in maniera compostamente mirabile nella dimensione universale, offerta poi quindi quale obiettivo universale.

Tutte le poesie di questa raccolta sono esiti straordinari che ne fanno un appuntamento imperdibile.              

                                                                             

Valga per tutte quale ottimo esempio “Inverno”:

 

Sono fredde

le stanze vuote di affetti

baciate dalla tramontana

vento secco che gela

Il mondo del sentimento immutabile.

È inverno anche

in prossimità del nostro

rifugio; qui la densità dell’istante

non subisce perdite glaciali

non si annienta sottozero

l’ardore della fiamma

alla luce della quale

il tuo cuore invade la felicità

del mio sogno: amare d’inverno

nonostante il grande freddo”.

  

Se c’è chi nel suo cuore si porta o teme il grande freddo, legga le poesie di Nicola Vacca, e ne sarà riscaldato e illuminato.

 

Sì, grazie ad esse, davvero“antidoto quotidiano al veleno letale dell’incomunicabilità tra gli esseri viventi” e “dialogo con l’eternità”, della solitudine angosciante, del disperato e disperante anonimato, dell’impotenza e dell’insoddisfazione che tanto prepotentemente assillano la nostra esistenza  contemporanea, avrà una cura efficace.

Forse, la salvezza.

 


 

AGGIORNAMENTO

Torino, 26 luglio 2009

 

 

Ho visto Nicola Vacca l’ultima volta, in uno dei nostri più o meno occasionali, più o meno voluti, incontri sotto i cieli d’Italia, alla fine di marzo, a Roma, dove egli vive, in una giornata per me per tanti versi memorabile.

 

Ho ricordato tutto due giorni fa, leggendo del sequestro, operato dalla Magistratura, del mitico “Cafè de Paris”, lo storico locale della “dolce vita”, caduto nelle mani della ‘ndrangheta.

 

Nell’eterogenea compagnia in cui ci trovavamo, di giornalisti, registi, e quant’altri ( ma non c’erano né nani, né saltimbanchi, né ballerine, sia chiaro ) - anche un fotografo, c’era; cera pure Carlo Gambescia, che tentava di spiegava l’approccio metapolitico a chi era più interessato agli stuzzichini del Campari soda - Nicola spiccava per la  classe, che non è acqua, di sempre, e per quel tono fra l’incazzato col mondo e il “non mi rompete, ve ne prego”, che aveva quel giorno.

 

C’era il sole fresco e il vento di passioni della primavera romana, peraltro abbastanza ancora immaginaria; a mezzogiorno via Veneto respirava di nuovo, ma soprattutto d’antico; il “Cafè de Paris”, in cui, appunto, ci eravamo dati appuntamento, era praticamente deserto, quando l’occupammo, per un aperitivo, a parlare di libri, film, articoli, poesie e di progetti antichi, ma soprattutto di nuovi.

 

Gli unici momenti in cui il suo volto duro e intristito si era sciolto ed era stato attraversato dalla luce dei sorrisi furono quando, sia pur per brevi tratti, egli parlò delle sue poesie.

***

 

Ecco, i momenti, fra “pubblico” e “privato”, fra “politico” e “personale”, i momenti di quel giorno di fine marzo scorso, sintetizzano l’ultimo periodo artistico di Nicola Vacca, fatto poi, essenzialmente, di due libri: una nuova raccolta di poesie e una per lui inusuale raccolta di aforismi.

 

Si scioglie, intimamente, sorride, dentro e fuori, Nicola Vacca, pur parlando di dolore, e sofferenza e terribili prove da affrontare, nell’ultima raccolta “Ti ho dato tutte le stagioni”.

 

La “serena musica segreta” (anzi, la “Serena”) di sempre diventa  una sinfonia ricca e piena, della sopraggiunta maturità espressiva, che consegna già Nicola Vacca agli archivi del nuovo secolo e del nuovo millennio quale originale e significativa voce poetica.

Le trentasei poesie, con la prefazione di Antonio Debenedetti, per l’editore Manni ( Lecce, 2007, 9 euro ) in suggestiva veste grafica, rivelano un incredibile romantico che trova equilibrio, nell’afflato lirico sapientemente calibrato, nel ritmo che risuona immediatamente, nell’intimismo che abbraccia l’universalità delle idee e la comunità degli ideali.

 

Sentite, per esempio, versi come questi:

 

Ho chiesto aiuto e mi è stato
regalato un amore nuovo,
che insegna ai deboli la forza.
Anche se tutto era oscuro,
in fondo a una corsia d’ospedale,
ho sempre trovato lì
la risposta al suo mostrarsi

alla sua fame di vincere la battaglia.

Siamo le parole che pronunciamo,
siamo le cose che valgono la vita.
Nella verità semplice di un gesto
siamo rimasti traccia dell’esistere
del miracolo che resta.

L’amore ci fa diversi.
Lui, la bestia che ti assale,
non lo saprà, continuerà
la sua sconfitta”.

***

       

Si sente?

 

O ancora, per esempio:

 

“Ti ho dato tutte le stagioni
nel tempo dell’ascolto,
sul precipizio. Ma qui,
ancora, l’amore nasce
e muore insieme a noi.

 

Entra con me nelle stanze
dal nome infedele;
i sorrisi cercano solitudini”.
***

 

 

Si sente, si sente, la poesia. Lontano un miglio.

 

Poi, ecco. Bello, qualcosa di Bello, in assoluto, e basta, così, semplicemente.

 

Impariamo ad amare, leggendo i versi di Nicola Vacca: ci ha insegnato, dimostrandocelo, che  

“l’amore è l’antidoto al veleno della vita”.

Impariamo ancora da lui ( e non da me, che pure lo vado dicendo spesso, che le parole sono importanti,  a volte pesano come macigni ) che – oh quanto è vero, quanto esse ci qualificano e ci delineano! – “siamo le parole che pronunciamo”. O che scriviamo.

***  

 

Ed ecco poi Nicola Vacca nell’inedita versione di polemista. Sorprendente del resto soltanto per chi non lo conosce personalmente: ché, frequentandolo, capita spesso di sentirlo sentenziare sull’ultima polemica politica, che ne so? O su questo o quell’avvenimento pubblico, ma sempre in maniera fulminea, apocalittica e in maniera tale che ce ne sia sempre da ricordare. Un aforisma, appunto.

E’ uscito nel 2008 “Frecce e pugnali”, per le edizioni “Il foglio”, con la prefazione di Giordano Bruno Guerri e la lontana eco di Nietzsche, Pound e Cioran che arriva fino all’attualità contemporaneo.

 

Ironico ( ma dire ironico, è troppo poco; pure sarcastico, lo stesso ) brillante, politicamente scorrettissimo (e vivaiddio, in questa melassa indistinta del buonismo parcellizzato sull’immaginario collettivo e del conformismo elevato a indistinto sistema di giudizio e di espressione ) Nicola Vacca  che ce l’ha con un mondo che non lo vuole più trova negli aforismi armi letali, non tanto per difendersi, quanto per attaccare.   

 

 

Così, se la piglia con i luoghi comuni del pensiero debole, con i falsi miti del pensiero forte, e ne ha poi ad abundantiam con il positivismo, con l’ottimismo, con la religione, con la democrazia, con la politica.

 

Beh, sono provocazioni salutari, che chiudono il cerchio delle sue attività, in cui, non secondarie a quelle letterarie e poetiche, spiccano quelle di animatore culturale e creatore di idee, e di emozioni.

Ma non da intellettuale: “L’intellettuale scrive per servire il potere. Il poeta ascolta il cuore degli altri per servire la vita”.

 

La parola, autentica. E l’amore, gli unici ponti di riferimento, nel caos.

 

 

E’ impossibile discutere con questa apodittica ed apocalittica forza scatenata, ostinata e contraria.

Rimane il fascino della provocazione, l’insostenibile pesantezza dell’essere il disagio, e l’agio di volervisi opporre.

 

Poi, che farci? Prendere o lasciare. La verità di Nicola Vacca è che ogni giorno:

“Quando mi sveglio sono sempre di buon umore. Esco di casa, comincia il dramma”.

 

Come gli era successo evidentemente anche quella mattina del marzo scorso, a Roma, venendo da me al “Cafè de Paris”.

 

Dagli inizi del 2010 Nicola Vacca “riapre” la sua rubrica di poesia, ospitata da “Linea quotidiano”: “Dal 2001 al  2006 ho curato sul Secolo d’Italia una rubrica fissa di poesia. Si chiamava ‘Nel verso giusto’ e usciva  il martedì. Per molti era diventata  un appuntamento imperdibile. Cosa insolita nella storia della stampa quotidiana italiana, uno  spazio di  3000 battute dedicato alla poesia. L’iniziativa riscosse  l’attenzione dei media. Ma soprattutto ho ricevuto l’attenzione di molti  lettori , poeti e di lettori  – poeti che mi facevano pervenire in redazione i loro libri. Molti critici mi invidiavano , nel senso buono del termine,  questo spazio  nel quale ampiamente e in assoluta libertà  potevo parlare e sparlare con onestà intellettuale di tendenze poetiche, libri e tutto quello che riguardava il mondo del verso.

Personalmente l’ho sempre definito uno spazio corsaro, e così lo hanno percepito anche i miei lettori affezionati.

Il mio interesse andava e va  soprattutto alla piccola e media editoria, in cui oggi è possibile trovare ancora la buona poesia. Non ho fatto sconti ai poeti laureati e al loro potere culturale.

Dopo qualche anno la rubrica ritorna: torno a firmare Nel verso giusto con lo stesso spirito corsaro e sempre dalla parte di chi ama la poesia e la considera una cosa onesta. Chi volesse inviarmi i propri libri può farlo al seguente indirizzo: Nicola Vacca c/o Gianni Lendini, via Po 116, 00198 Roma. Vi assicuro che nulla passerà inosservato.

Poi, come sempre ho fatto, dedicherò maggiore attenzione alla piccola e media editoria.

Sono contento di questa possibilità per la poesia che ha sempre più necessità di essere divulgata e testimoniata. Soprattutto mi auguro che nel nostro Paese si torni a dare al mondo del verso la giusta considerazione”.

***

LA CRISI

La vita non è facile

lo sanno i poeti.

Tutte le mattine

fanno i conti con le parole

camminano senza mappa.

Tengono tra le mani

la poesia che succede nella crudeltà

di un altro giorno di paura.

 

E  sempre agli inizi del nuovo anno è pronta la sua nuova raccolta, la nona, di trentotto componimenti,“Esperienza degli affanni”, per le edizioni Il foglio ( 84 pagg. 6 euro ).

Si tratta di una splendida conferma.

Dal “personale” dell’intimo quotidiano che nei suoi versi diventava valore universale ed assoluto delle prime raccolte, al “politico” dell’impegno civile, nella protesta e nella ricerca incessante di lampi di luce nel buio che circonda la nostra identità di contemporanei,  degli ultimi lavori, Nicola Vacca dà un’altra superba prova di maturità espressiva, senza retorica, e con semplice, ma precisa efficacia di contenuti.

“Giriamo a vuoto, perché abbiamo perso il baricentro. Siamo avvitati intorno a una pericolosa involuzione che sta minando le fondamenta della nostra specie, che non è più capace di guardarsi dentro. Manchiamo di impegno e di responsabilità. La politica non è più in grado di dare risposte alla società, il primato della cultura è stato demolito da un’omologazione mediatica che ha completamente reso superfluo il valore fondamentale della conoscenza. C’è una brutta aria, un asettico analfabetismo emotivo ci sta togliendo definitivamente la meraviglia dello stupore. Insomma, dovremmo iniziare a fiutare l’odore del pericolo, invece continuiamo a farci del male aprendo la strada a un’Apocalisse postmoderna che ci annienterà.

 

Ezra Pound scriveva che il compito del poeta è quello di riempire il caos. E aveva perfettamente ragione. La poesia riesce a vedere quello che altre discipline non guardano nemmeno. L’invisibile che contiene verità assolute.

 

Bisogna costruire con parole che dicono e che a volte possono risultare scomode, ma devono dire, quindi significare. L’immagine del vuoto che annuncia tumulti è la fotografia dell’impoverimento del nostro tempo interiore che ha bisogno dell’unica rivoluzione possibile, quella del cuore che tarda a venire. Dal punto di vista relazionale bisogna stare attenti al nulla nel quale la crisi economica, che è soprattutto crisi morale, ci ha trascinato. Si avverte il pericolo del conflitto sociale. E questa volta i tumulti lascerebbero il segno.

 

A questo serve la poesia. Porre domande sulla vita, non smettere mai di interrogarsi, cercare di evocare, affermare per combattere il nichilismo che avanza dappertutto. Soltanto la parola che chiama le cose con il loro nome può limitare i danni”.

***

"A destra per caso. Conversazioni su un viaggio" ( Il Foglio  letterario, pp. 90,  euro 10 )

A marzo, poi, in uscita una riflessione propriamente politica di Nicola Vacca, scritta a quattro mani e anzi a due voci con Carlo Gambescia: un poeta e un sociologo, due intellettuali curiosi e intelligenti, affascinanti e creativi, comunque due uomini liberi,  che si interrogano, a metà fra convincimento e delusione, sui loro percorsi politici degli ultimi anni, fra i sentieri impervi e a volte scalcinati della destra italiana.