GIUSEPPE CONTE
Il canto che continua qui
dentro l’universo
Ha creato gli dei, quindi ha ri-creato gli esseri
umani, ma poi ha guardato oltre tale realtà e di questa entità
metafisica, in maniera forse confusa, ma certo suggestiva, ha
elaborato trepide e sapide interpretazioni.
Dai tempi delle caverne, da quarantamila anni,
attraverso la civiltà classica, fino alle molteplici suggestioni
odierne, il mito, “il canto che continua qui dentro
l’universo”, ha nutrito gli uomini, che continuamente
ancora oggi lo ricercano, per alimentare i propri sogni e
ancorarvi la propria identità.
IL
MITO E IL MITOMODERNISMO
Interpreti del mito, sono gli eroi.
Secondo uno dei principali teorici del mito, uno
scrittore ellenistico del III secolo avanti Cristo, Evemero, gli
dei sono appunto re o eroi, divinizzati nel comune sentire per
le loro imprese eccezionali.
Abbiamo sempre bisogno di eroi e forse oggi più
di prima.
Giuseppe Conte al mito ha ancorato la sua poesia
e dal vecchio ha portato il mito e la poesia nel nuovo secolo e
nel nuovo millennio.
Poeta, ma anche romanziere, scrittore e
intrattenitore televisivo, è una delle figure-cardine del nostro
panorama culturale.
La sua poetica si chiama appunto “mitomodernismo”,
la “corrente” nata a Milano nel 1994 sulle pagine del
“Giornale” curate da Stenio Solinas, insieme all’amico e sodale
Stefano Zecchi.
Ma che cosa è il mitomodernismo?
Ce lo spiega ( da par suo ) lo stesso Giuseppe
Conte:
“Il
mitomodernismo è innanzi tutto azione
E’
l’attimo che fugge, sogno, lotta, passione
E’
quando hai nelle vene l’indicibile vita
Quando ti prende l’ansia di libertà infinita
Il
mitomodernismo è innanzi tutto azione
E’
un gesto maturato fuori dalla ragione
Eppure più razionale di quelli dei potenti:
è
la grande bandiera che soffia ai quattro venti
di
Rivolta e Destino, di Sogno e d’Avventura:
il
mitomodernismo è non aver paura.
Il
mitomodernismo è voglia di futuro
E’
il sacro e il desiderio, l’impuro insieme al puro
E’
l’energia che smuove che fa sempre viaggiare
E
peggio per chi più non riesce ad ascoltare
Il
canto che continua qui dentro l’universo.
Il
mitomodernismo è in una nota, un verso.
Il
secolo finito ha lasciato i suoi eredi
Gente che vive chiusa legata mani e piedi
Nel vuoto, nell’assenza, “impossibilità”
E’il sigillo infelice della loro realtà
Il
mitomodernismo è nuovo umile orgoglio:
dire: questo io sono, dire: questo io voglio.
Dare un senso alla vita per assurda che sia.
Combatter per un sogno- e questo è già poesia
Il
mitomodernismo è l’angelo e la carne.
Prendere l’invisibile e decifrando, farne
Un
oggetto che tiene dentro di sé il suo mistero
Eppure è lì davanti agli occhi intatto, vero.
Il
mitomodernismo è chiamare gli dei
Sulla terra a discendere e stare in mezzo a noi
Il
mitomodernismo è chiamare gli dei
Sulla terra a discendere e stare in mezzo a noi
Il
mitomodernismo è l’eterna carezza
Di
Venere sul mare, erba, albero, bellezza.
Il
mitomodernismo è il sogno d’un primato:
è
l’arte che si inventa le sue leggi, il suo Stato
è
il poeta che fa del canto ribellione
contro il tiranno ingiusto, contro ogni oppressione
e
che del cosmo celebra il segreto divino.
Il
mitomodernismo è profeta e bambino.
Il
mitomodernismo inventa una politica
Non mera morotea molle menata criptica
Ma
slancio, libertà, diritto chiaro e duro
Un
patto rispettato e un progetto sicuro
Il
mitomodernismo è etica e piacere.
Sesso ascesi virtù sfrenatezza rigore.
Il
mitomodernismo è innanzi tutto azione,
costruire il futuro, sogno, lotta, passione”.
L’UOMO,
L’OPERA, LE IDEE
Giuseppe Conte è nato nel 1945 a Porto San
Maurizio ( Imperia ) e qui vive, quando non è in viaggio, o
nell’altra sua casa di Nizza, “luminosa
e silenziosa, in rue Massenas, con un terrazzo sui tetti della
città, ideale per concentrarsi e scrivere. Sotto,
nell’animazione continua dell’isola pedonale, ho un mio tavolo
fisso a un caffè, la Promenade des Anglais dietro l’angolo”.
L’abitazione di Imperia è invece vicino al
mare, “condizione
fisica di cui non riesco a fare a meno, ma anche lo stimolo
più forte per l’avventura, anche dello spirito”,
con una vista mozzafiato che dallo studio arriva fino a San
Lorenzo: quadri di artisti contemporanei; due scrivanie, una
occidentale di cristallo e metallo e una orientale di legno
antico; tanti libri, meno quelli che regala ai giovani poeti
che non possono comprarne.
VITA COL
PADRE
Suo papà era siciliano, ufficiale dell’esercito,
intensamente ancora presente, nel ricordo, “celeste
corrispondenza d’amorosi sensi”.
Lo so che non sei qui, padre, lo so
bene che non sei oltre questa lastra
di granito che una patina strana
come di grani di sale o di sabbia
incrostata rende opaca;
non sei
oltre questa foto
che scegliemmo
forse in fretta noi della famiglia
e che ben poco ti assomiglia.
Qui, dove noi rimasti deponiamo
fiori – orchidee , perché ci ricordiamo
che le prediligevi – e con l’accendino
cerchiamo di un cero lo stoppino
finché una scintilla non si rifletta
tremando sopra il granito,
scavandovi labili incendi puntiformi.
Eppure io vengo qui per parlare con te
e solo per te ho ripreso a pregare.
Tu sei il principio, tu la fonte.
Da “Canti d’ Oriente e d’Occidente”
Avido lettore fin dai tempi della scuola
dell’obbligo, al ginnasio, fra le pagine di Shakespeare e quelle
di Sartre, giurò a sé stesso che sarebbe diventato uno
scrittore.
Si laurea in lettere alla statale di Milano e
inizia l’attività universitaria, con Gillo Dorfles a Milano e
con Giorgio Barberi Squarotti a Torino; insegna poi alcuni anni
in un istituto di Sanremo, prima di dedicarsi completamente alla
scrittura.
Collaboratore di molte riviste letterarie,
traduttore di Blake, Shelley, Whitman, Lawrence, ha esordito nel
1972 con un volume di critica(“La metafora barocca”).
Nel 1979 mette subito a fuoco uno stile alto,
lirico, neo barocco, caratterizzandosi così per l’originalità e
l’anticonformismo rispetto alla produzione poetica corrente, da
cui rimane massicciamente distinta e distante, anche per i
contenuti, già orientati a celebrare liricamente i miti celtici,
con la prima raccolta “L’ultimo aprile bianco”.
“Aprile che ritorna e che consuma nei
giardini di ginestre e di acanti, nei
voli di passeri invisibili e nei calendari
aprile che sgretola che versa dalle tiepide
foci le nuove nuvole”.
Negli anni Ottanta pubblica “L’oceano e il
ragazzo” e “Le stagioni”, in cui esalta la propria ideologia,
fondata sul primato della poesia.
“Dialogo del poeta e del messaggero” è del 1992 e
lo porta alla nuova poetica compiutamente definita nel 1994,
insieme alla teorizzazione della “Repubblica delle lettere”: l’attualizzazione
concreta del culto della classicità.
Nel 1997, “Canti d’Oriente d’ Occidente”, da
Mondadori, con il suo grande successo di pubblico, specie quello
giovanile, è la definitiva consacrazione.
I critici, Piero Citati in testa, ne evidenziano
l’originalità e la versatilità lirica.
____________________________________________________________________
“Ho
seguito un processo che mi sembra coerente e continuamente
metaforico”
-mi diceva Giuseppe Conte, con un suo intervento
sul mensile torinese “In”che all’epoca dirigevo-
“Sono
rimasto fedele al mio sogno di riportare l’energia del mito
nella poesia, sono rimasto fedele a tutti i miei sogni di
ragazzo, ho sperimentato linguaggi diversi, toni diversi, stili
diversi, in una specie di continua insofferenza del già dato e
del già fatto.
Ho
sempre bisogno di muovermi e di cambiare, di viaggiare e di
amare, nella vita, come nel lavoro letterario.
In
questi ultimi anni, dal 1991, con “Terre del mito”, ho scritto e
pubblicato oramai migliaia di pagine di prosa.
La
mia poesia è diventata più narrativa, ha imboccato la strada del
poemetto, ha cercato di inglobare più linguaggi, più realtà, si
è fatta voce civile, inascoltata e controcorrente.
Si
è approfondita la mia ricerca spirituale, sino al poemetto “Ai
Lari”, dove il mio dialogo con l’ombra del padre e con le ombre
dell’Ade tocca in maniera laica, foscoliana, tematiche
metafisiche e religiose”.
____________________________________________________________________
“Dicono che non torneranno più rondini
che non matureranno più ciliegie
e le primavere saranno di lacrime
cimiteri di tombe grigie.
Niente più gridi sulle grondaie
niente più rosso rubino negli orti
e le primavere saranno di lacrime
- annette regni il regno dei morti.
Ma c’è qualcosa che non finisce
sei tu Persefone – che – torni - amore
la figlia barbara che custodisce
gli alati in cielo, le fioriture.
Hai conosciuto violenza e tenebre
eppure esci e desideri ancora
figlia di Demetra – terra - anima
sogno di un sogno – risveglio - aurora”.
“Saluto a Persefone”, su “In”, giugno 1988
____________________________________________________________________
Sempre in quell’occasione, Giuseppe Conte mi
parlò in maniera sentitissima di poesia.
“La
poesia è sentinella dell’essere, e l’espressione non è soltanto
un’astrazione filosofica: la poesia tiene viva la vita del
linguaggio, e dunque della conoscenza: è il canto dell’universo,
il punto più alto in cui la materia primordiale giunge nel suo
infinito viaggio verso lo spirito, verso la conoscenza di sé e
la propria divinizzazione.
E’
guida delle coscienze, perché essa contiene un’implicita, intima
eticità, La poesia è sentinella dell’essere, e l’espressione non
è soltanto un’astrazione che non è una morale partigiana,
tribale, ma una eticità assoluta in difesa della luce, dello
spirito, della vita. E naturalmente, in un mondo apparentemente
privo di senso della metafisica, la poesia ce ne ricorda
continuamente la insopprimibile necessità.
La
poesia nasce sempre da una sofferenza, che è innanzitutto
sofferenza metafisica, disagio di fronte alla apparente
normalità del mondo, alla apparente linearità del linguaggio:
non è frutto di un dolore privato, quanto di quel dolore che i
romantici tedeschi, a cui dobbiamo tanto, chiamarono weltschmerz,
dolore del mondo.
Non si scrive se non si è stretti alla gola dall’angoscia della
domanda esistenziale: perché viene sera? Perché vengono le albe?
Perché tutta questa pena, perché tutta questa gioia?”
____________________________________________________________________
Un giornale come “Panorama” lo presenta come
l’erede di Ezra Pound nelle preferenze dei giovani di destra.
Ma Giuseppe Conte ci tiene a puntualizzare e
puntualizzando così ebbe a precisare nel 1999, in un’intervista
per tanti versi memorabile e rimasta attualissima che mi
concesse per il settimanale “Il Borghese”:
“La
mia poesia sviluppa temi- la natura, il mito, l’eroismo,
l’anima, l’energia cosmica, il desiderio erotico, il viaggio, la
riscoperta delle radici celtiche, lontane, l’avventura
spirituale- che non hanno una precisa collocazione politica, ma
che ambiscono essi stessi a essere una Politica dello Spirito.
Ho
appreso con un po’ di stupore che tra i poeti prediletti dai
giovani di destra vengo subito dopo Pound. Mi sono sentito in
colpa verso D’Annunzio, che meriterebbe di più.
Evidentemente i giovani di destra sono più individualisti, e
dunque più liberi. I giovani inquadrati dalla sinistra sono
rintanati nel potere culturale come topi nel formaggio,
conformisti, passatisti e se ho di sicuro lettori di
Rifondazione comunista e dalemiani, certo che un veltroniano non
potrà mai leggermi, oserei dire che non ha il diritto di
leggermi.
Il
panorama attuale è desolante, niente si è rinnovato come io
speravo.
Io
sono un inarco-individualista, un repubblicano rivoluzionario,
un democratico whitmaniano.
Ho
avuto simpatia per certi accenti della Lega. Peccato che io sia
anche per una società multirazziale e multireligiosa, dove
ognuno recuperi in pieno rispetto degli altri la propria
tradizione e la propria verità.
La
mia solitudine mi è indispensabile, almeno come l’amicizia e
l’amore.
Non è che io subisca la solitudine, la cerco nel momento in cui
devo concentrarmi sui miei progetti di scrittura.
Ho
il culto dell’amicizia, e molti amici, sparsi per gli Stati
Uniti, la Francia e l’Italia.
Ma
amo molto certe giornate silenziose di Nizza, dove gli unici
interlocutori sono i camerieri dei bar e dei ristoranti, e le
uniche interlocutrici le immagini di ragazze bellissime che
passano per le strade.
A
livello culturale mi sono battuto da anni e contro quasi tutti
per riaffermare la dignità del mito; ho riscoperto sin dai primi
anni Ottanta le radici celtiche della nostra cultura; ho portato
in Italia Il diario di Bobby Sands e a partire da quello ho
scritto un poemetto, “Il canto irlandese”, che oggi gira
tradotto in gaelico da giovani poeti irlandesi; ho contribuito a
far nascere il Mitomodernismo; ho guidato l’azione del commando
eroico che ha occupato Santa Croce il 1 ottobre 1994 e lanciato
un messaggio di rinascita spirituale per la poesia e per
l’Italia. Per essere uno che vive quasi in esilio, mi sembra di
aver fatto abbastanza”.
____________________________________________________________________
L’ASSALTO A SANTA CROCE A FIRENZE nella
rievocazione di Michela Frittola, una giornalista che partecipò
all’evento.
Ricordo che faceva molto caldo, quel giorno,
nonostante l’estate fosse già finita.
Giuseppe Conte aveva convocato i suoi “seguaci”,
tutta la sua schiera di poeti sparsi in ogni luogo d’Italia,
nelle settimane precedenti.
Io e Nicola Ponzio lo andammo a trovare la sera
prima nel suo albergo, dove già egli aspettava
e, insieme a qualche altro, lo trovammo più che
mai brillante, prodigo di rilievi ironici e di suggestioni
creative.
Ristabilire il primato della poesia, esaltarne la
funzione eroica, dare un segnale di riscossa, di rinascita:
avevamo spiegato e continuammo a spiegare nei giorni seguenti il
significato del nostro gesto. Molti giornali ne parlarono,
ricordo.
In pratica, quella mattina, ci ritrovammo in una
trentina.
Arrivò anche Stefano Zecchi
Entrammo nella basilica e davanti alle tombe dei
Grandi recitammo strofe del carme de “I sepolcri”, ognuno di
noi ne declamò un pezzo.
Ci trasferimmo sul sagrato davanti alla chiesa.
Qui, di nuovo, ognuno di noi prese la parola, uno dopo l’altro,
a leggere o versi propri, oppure proprie considerazione
critiche, teoriche, sulla poesia.
Era già pomeriggio inoltrato, quando il
commando eroico si sciolse, contento, soddisfatto della sua
missione, così portata brillantemente a compimento.
“L’impegno
sociale non è il mio forte. La politica mi appassionava da
ragazzo:a 14 anni ero iscritto al Pli di Malagodi, quando i
liberali erano pochissimi bastian contrari.
Oggi la politica è troppo sottotono, senza idee, senza
emozioni…Dovrei appassionarmi a qualcosa che assomiglia sempre
di più all’amministrazione di un condominio?
La
bambina dei miei vicini di casa un giorno ha chiesto alla mamma:
-Perché il signor Conte non lavora?
Non riusciva a capire che razza di vita facessi, mi vedeva
entrare e uscire a ore strane e stare in casa tutto il giorno,
mentre suo padre era in ufficio.
L’ozio non è affatto vuoto. Non è l’assenza di attività. Al
contrario, per gli antichi era una condizione normale dello
spirito, alla quale si contrapponeva il negotium: il lavoro come
negazione dell’otium.
L’ozio è indispensabile per ricaricarsi, per fare sogni e
progetti. E’ la più proficua delle attività, quella che i
tedeschi chiamano tagtraum, sogno di giorno. Il tempo libero
della società di massa, invece, è un vuoto assoluto dal quale si
cerca di uscire con attività eterodirette, forzate.
Io, per esempio, mi accorgo spesso di lavorare troppo. La vera
forza che mi permette di scrivere e di inventare è il tempo che
strappo alla macchina del lavoro. L’etica del lavoro in sé può
anche essere una buona cosa, ma guai se non trova il suo
contrappeso nell’otium. Altrimenti davvero si diventa schiavi.
Dobbiamo insegnare ai giovani come utilizzare in modo più
intelligente il proprio tempo. L’arte di conversare con sé
stessi è essenziale per la nostra crescita interiore. Bisogna
saper stare da soli, anche se mescolarsi alla folla sembra più
facile e divertente. Solo nella solitudine nascono le
illuminazioni e i dubbi che ci rendono liberi.
La
poesia è il canto dell’universo, come il mito, è una corrente di
energia psichica e linguistica che tende a dare senso al mondo,
come gli dei.
Il
poeta è sempre una persona che soffre più degli altri, che ha
ricevuto una ferita iniziale, irrimarginabile. Detto questo, il
poeta è anche l’uomo che conosce più gioia al mondo e che dà e
riceve più amore.
Non mi piace la vecchia solfa conformistica secondo cui è
fortunato un paese che non ha bisogno di eroi.
L’eroismo è la capacità di irradiare luce di cui tutti gli
individui e tutti i popoli hanno bisogno.
Solo un cattolicesimo senza metafisica e un comunismo senza
lotta possono sostenere morali così minime e antieroiche. Io
adoro Achille che combatte per compiere il suo destino, e con
lui tutti i giovani eroi solari a lui simili: Sigfrido, Krisna,
Sansone. Amo Giasone che cerca il vello d’oro, Perceval che
cerca il Graal, amo Bobby Sands, amo i giovani aviatori caduti a
Fiume, Aldo Bini, Giovanni Zappegno…
Oggi non ci sono né eroi, né maestri, in Italia. I poeti hanno
rinunciato a essere voci spirituali.
C’erano Borges e Junger, che potevi andargli a chiedere lumi.
Io
ho avuto diversi bellissimi scambi epistolari con Junger,
l’unico a cui scrivevo- Caro Maestro…
Dei poeti italiani contemporanei mi piacciono Milo De Angelis,
Tomaso Kemeny, Roberto Carifi, Rosita Copioli, Mario Baudino,
Valentino Zeichen, Renzo Paris, Giancarlo Pontiggia, Danilo
Bramati, Gabriella gallio, Lamberto Garzia, Marco Marangoni,
Nicola Ponzio, Alba Donati, Lorenzo Scandroglio”.
____________________________________________________________________
“C’è una dolcezza giù nella vita
che non cambierei con niente di ciò che
appartiene al cielo
E’ quando chissà da che
fra due bocche estranee fino ad allora
cominciano i miracoli
trepidi d’aurora
dei baci”
da “Canti d’Oriente d’ Occidente”.
____________________________________________________________________
“Anche
i rapporti amorosi tra uomo e donna sono al centro della mia
attività di scrittore.
Dei miei romanzi, uno è ispirato a Donne Innamorate di Lawrence
e si intitola “Fedeli d’amore”; anche in “Il ragazzo che parla
col sole”, non manca, nell’iniziazione del protagonista, la
parte dedicata all’eros.
Nelle mie poesie, esplicitamente amorose sono quelle dei “Canti
di Yusuf Abdel Nur”, in “Canti d’Oriente e d’Occidente”.
Luca Canali ha scritto che sono le poesie più sensuali della
letteratura italiana dopo D’Annunzio.
In
effetti mancano nel nostro secolo le tematiche d’amore: si pensi
a Montale, a Calvino, che riescono a non parlare d’amore
praticamente mai.
Decenza ligure. Io, mezzo ligure, mezzo siciliano, sono invece
per la sfrenatezza barocca e lirica dei sensi, sono stato sempre
ossessionato dall’eros, ho sempre sacrificato all’altare di
Venere. Nella pagina e nella vita.
Sono pieno di progetti.
La
meta è non cessare mai, cercare la pienezza, la fioritura del
proprio essere, il proprio stile sino alla fine”.
____________________________________________________________________
Il primo romanzo di Giuseppe Conte è del 1980,
“Primavera incendiaria”, cui seguono “Equinozio d’autunno”, del
1987, “I giorni della nuovola”, 1990, “Fedeli all’amore”, 1993,
“L’impero e l’incanto”, 1995, “Il ragazzo che parla col sole”,
1997, “Il terzo ufficiale”, 2002, ambientato all’epoca della
tratta degli schiavi e “La casa delle onde”, 2005, biografia
romanzata del poeta inglese romantico Percy Shelley.
Sarà per pregiudizio, ma, dopo Foscolo e Manzoni,
è difficile pensare a un poeta che sia anche un narratore.
Giuseppe Conte lo è.
Ma sul valore dei suoi romanzi, su cui si è molto
discusso, il pregiudizio, stupido forse, certo frutto della
sensibilità contemporanea, continua a pesare.
Presi di per sé, sono costruzioni notevoli da un
punto di vista letterario, finanche raffinate, in cui, fra
l’altro, specie negli ultimi due, egli, partendo dalle basi
storiche, rielabora e sviluppa tante tematiche care alla sua
poetica ( l’elemento marino, le figure eroiche ) e possono
piacere e molto a chi lo conosce da romanziere.
Ma di solito non piacciono a chi lo ha conosciuto
e l’ha “sentito” quale poeta.
Forse per pregiudizio contemporaneo sul Giuseppe
Conte romanziere.
Forse perché davvero Giuseppe Conte ottimo poeta
da poeta è ad un altro, più elevato e irraggiungibile livello di
eccellenza.
Alla poesia torna nel 2002, con “Nuovi canti”,
pubblicati da Giorgio Devoto nelle edizioni San Marco dei
Giustiniani con prefazione di Rosita Copioli.
Torna con una forza, un’ampiezza di respiro dagli
effetti dirompenti.
Mio corpo non dimenticare il piacere
che hai preso giorno dopo giorno
la delicata lussuria, il tremore
dei fianchi e delle ginocchia
gli occhi perdute sotto le palpebre
l’aprirsi tiepido di una bocca
la saliva il seme il sudore
insieme, col loro odore
inconfondibile, ed acre e squisito.
Le parole turpi e dolcissime
ripetute in amore all’infinito.
Noi detestiamo gli ipocriti
è vero, mio corpo? Lo sappiamo
che il piacere è inutile, vano.
Eppure ancora ne vogliamo”.
Da “Nuovi canti”, 2002
Ma il grande ritorno è all’inizio del 2006, per
Mondadori, con “Ferite e rifioriture”, una nuova raccolta,
sospesa fra il rifiuto del Novecento letterario, quindi la
sperimentazione e l’attualità stringente, sia “personale”, sia
“politica”, fissata con versi d’una compiuta e tipica, peculiare
espressività.
Sempre nel 2006, mutuando il titolo dal
romanziere Jean Giono ( 1895- 1970) il quale, in un brano del
suo diario, nel 1938, si riprometteva di scrivere quattro
lettere, di cui l’ultima avrebbe voluto chiamare "Lettera ai
disperati sulla primavera", pubblica un saggio per “Ponte alle
grazie” con lo stesso titolo.
Riprendendo e sviluppando l’idea dello scrittore
francese, forte delle passioni in comune per la letteratura come
spiritualità, bellezza, l'autenticità, la fratellanza, Giuseppe
Conte stila una specie di manifesto di impegno politico e
letterario
Giuseppe Conte, a sessanta anni, affida un
compiuto racconto di sé, insieme a tutta una serie di
riflessioni sui suoi motivi poetici e sulle tematiche letterarie
contemporanee, a Paolo Di Stefano, in una lunga intervista
pubblicata sul “Corriere della sera” del 12 ottobre 2005.
“La
letteratura senza impegno per me sarebbe di atroce
insignificanza.
Prima, con la lotta di classe e l’utopia comunista, il discorso
sull’impegno era molto più chiaro: significava aderire ad
un’ideologia. Dunque, cadute quelle ideologie, per molti non
dovrebbe più esserci né una visione del mondo né una visione
letteraria complessiva, Invece, l’impegno ha solo cambiato
faccia. Non potrei mai pensare che con la caduta delle ideologie
politiche siano venute meno le ideologie letterarie.
La
letteratura non può limitarsi a essere un gioco linguistico o un
prodotto adatto al mercato, deve sempre di più disegnare una
visione del mondo e una visione spirituale.
Abbiamo avuto una caduta a picco della cultura umanistica e
della fiducia nella creatività, un imbarbarimento della classe
dirigente e della borghesia, un abbrutimento della politica a
sondaggismo e televendita.
Il
tema più importante del nuovo impegno post-ideologico è quello
della natura attaccata e avvelenata che sembra ribellarsi
all’uomo. Basti pensare al valore simbolico dell’uragano di New
Orleans: un significato profondo che non è stato colto per n on
creare allarme. Non si sono mai visti cicloni così devastanti.
L’equilibrio tra uomo e natura è un argomento su cui il poeta
dovrebbe riflettere: oggi impegno è mettere in discussione
l’idea dominante di progresso come crescita indiscriminata per
rilanciare una nuova immagine di anima individuale. O meglio,
per rilanciare quelli che Victor Hugo definiva i diritti
dell’anima: la bellezza e la fratellanza tra diverse visioni
spirituali.
Per me impegno è anche confrontarmi con l’eurocentrismo
rifiutandolo. Vedo che Sanguineti se ne fa un vanto, ma a me l’eurocentrismo
sembra una malattia senile della cultura occidentale, perché non
tiene conto della complessità del mondo.
Le
famose radici cristiane dell’Europa? Io sono laico. L’Europa
secondo me ha una tradizione ben diversa, un’identità fondata
sull’apertura al resto del mondo e sulla capacità di capirlo, di
amarlo, di integrarlo.
Invece oggi il nostro continente propone ipermercati,
televisioni, stadi, pubblicità, moda. Le paiono cose per cui
inventare un futuro?
Io
credo che il vero nemico dell’Occidente non sia il terrorismo,
ma il nichilismo, l’idolatria del mercato, il consumismo,
sfrenato che porterà collassi, epidemie, catastrofi d’ogni
genere, di cui vediamo già i primi segnali. Se lo scrittore non
coglie questi segnali è meglio che lasci perdere…
I
miei punti di riferimento non sono cristiani, in senso stretto.
Mazzini non era cristiano, ma aveva una forte visione
spirituale. Come Foscolo e de Sanctis…Queste sono le radici
europee, non cristiane, ma insieme greche, romane, celtiche,
islamiche.
Per intenderci, sono molto nemico di Pera.
Sono laico, ma parlo dal punto di vista di chi crede nel primato
dello spirito. Viceversa negli Stati Uniti lo spiritualismo
fondamentalista è uguale al fondamentalismo islamico contro cui
combatte. Su questi grandi temi deve ragionare, secondo me, uno
scrittore o un poeta, incarnandoli nella contemporaneità: la
natura, l’anima, il mito, gli archetipi.
Sono stato sessantottino, alla Statale di Milano. Non avevo
simpatia per l’ala maoista violenta, non sono mai stato in Lotta
continua, ma ero un materialista, favorevole alla libertà
sessuale, alla liberazione degli omosessuali, all’immaginazione
al potere, a tutte quelle cose che, con il femminismo, hanno
cambiato la nostra società.
Oggi, col tempo, ho maturato un interesse per il primato dello
spirito: lo spirito è un itinerario che mi ha portato a scoprire
le mitologie e le religioni degli altri, dal taoismo al
panteismo degli Indiani d’America, all’islam.
Sull’onda di quelli che considero i miei maestri, Ungaretti e
Borges, penso che se gli scrittori abdicano a cercare la verità
e il senso della vita, e si limitano a divertirsi nel gioco
dell’ironia e della parodia, corrono il gravissimo pericolo di
farsi sostituire da gente come quel simpatico pelandrone di
Vasco Rossi.
Facendo la fenomenologia del mondo così come è, si finisce per
confermare l’esistente. I giovani che guardano all’avanguardia
sono più vecchi dei loro ispiratori.
Occorre invece fortissima passione, la voglia di salvare ciò che
di umano c’è nell’uomo, di ridare speranza al pianeta.
Distillare speranza dalla disperazione; quello che conta è
crederci”.
|